Cellulari… Possesso o Posseduto?

 

Iniziamo col dire che per i nostri ragazzi possedere un cellulare o un pc significa fare esperienza del mondo da soli, sapendo però di non esserlo del tutto: “raggiungo il mio compagno in una zona della città che non conosco utilizzando il navigatore satellitare e se poi dovessi perdermi, posso sempre chiamare con il cellulare e chiedere aiuto!”. Fantastico! Lo pensa il ragazzo e lo pensano anche gli adulti intorno a lui, perché quest’esperienza ha un valore evolutivo, sostiene la crescita!

Con il tempo il ragazzo farà tante di queste esplorazioni e a poco a poco imparerà a conoscere tutte le strade della sua città e nel complesso avrà sempre meno timore di affrontare le incognite del percorso di crescita. Che il cellulare abbia avuto un ruolo positivo nel passaggio dalla dipendenza all’autonomia è innegabile, però … ebbene c’è un però … mettiamo che il fisiologico bisogno di autonomia e il coraggio di affrontare ogni esperienza di vita dipendano da quel “non sentirsi del tutto soli” … mettiamo che il cellulare si trasformi, inconsapevolmente, in una sorta di “coperta di Linus”, cioè che diventi una rassicurazione non solo utile, ma indispensabile, tanto che qualunque azione della quotidianità debba essere sostenuta dalla presenza di quell’oggetto che non fa mai sentire veramente soli …. Allora potremmo ancora affermare che il telefonino ha una funzione facilitante il processo di crescita?

Diciamo pure che i genitori, ormai ampiamente abituati all’idea che il proprio figlio/a possa essere rintracciabile in ogni momento e luogo, hanno modificato di conseguenza il modo di gestire la normale preoccupazione genitoriale: se in passato, dunque, le ansie erano contenute attraverso frequenti dialoghi che, magari nascevano da un’intenzione investigativa, ma poi diventavano terreno fertile di accompagnamento educativo e affettivo; oggi, gli adulti “sedano” gran parte delle loro preoccupazioni attraverso il costante monitoraggio dei movimenti dei figli, attraverso “tonnellate” di chiamate telefoniche e sms.

Il cellulare presiede, insomma, ad un cambiamento radicale dello stile di relazione genitori-figli, cosicché a fronte di un’aumentata possibilità di controllo del comportamento filiale, si riscontra una riduzione dell’accompagnamento educativo-affettivo, nonché di quella profonda conoscenza reciproca che, in passato, da sola, alimentava il progressivo sviluppo della fiducia interpersonale.

Se volessimo tradurre quanto sopra in una sintetica equazione, potremmo dire che un uso poco consapevole del cellulare da parte di padri e madri, genera nella mente dei figli l’idea (malsana) che i genitori non li conoscano profondamente, non nutrano fiducia nei loro confronti e che l’interesse da costoro manifestato abbia a che fare unicamente con il bisogno di controllarli.

Da ultimo,  se accostiamo queste riflessioni a quelle relative al “cellulare come coperta di Linus”, attingendo ad una buona dose di onesta intellettuale, possiamo farci una domanda: è corretta l’affermazione “Io possiedo un telefono cellulare” oppure sarebbe più onesto, talvolta, dire “Io sono posseduto dal mio cellulare”?